Princes Gate, 5 Maggio 1980

Nella primavera del 1980, lo Special Air Service ha l’ occasione di dare prova delle proprie capacità nella lotta al terrorismo con l’ operazione “NIMROD”. Alle 11:25 del 30 aprile, sei uomini armati (di età compresa tra i 20 ed i 30 anni) appartenenti al gruppo marxista-leninista Movimento Rivoluzionario Democratico per la Liberazione dell’ Arabistan, fanno irruzione nell’ Ambasciata Iraniana al numero 16 di Princes Gate a Londra, prendendo in ostaggio ventisei persone. I terroristi sono armati di pistole mitragliatrici cecoslovacche Skorpion, pistole semi-automatiche Browning di manifattura belga e bombe a mano d’ origine sovietica. Il commando chiede che l’ Ayatollah Khomeini conceda l’ autonomia all’ Arabistan, una regione ricca di petrolio sita 643 chilometri a sud-ovest di Teheran (Iran), popolata dall’ etnia araba, anzichè iraniana. I terroristi (i quali, si sarebbe successivamente scoperto, erano supportati dall’ Iraq di Saddam Hussein, all’ epoca alleato dell’ Occidente contro l’ Iran) chiedono inoltre il rilascio di 92 arabi detenuti nelle carceri iraniane ed un salvacondotto per fuggire dall’ Inghilterra, non appena le loro richieste fossero state accolte. Oan (nome di battaglia “Salim”), ventisettenne leader e portavoce del gruppo, dopo aver fatto le proprie rivendicazioni, precisò che se le autorità iraniane non avessero accolto la richiesta di indipendenza per l’ Arabistan, gli ostaggi e l’ ambasciata sarebbero stati fatti saltare in aria alle ore tredici del giorno successivo.

All’ insaputa dei terroristi, il Comandante di Polizia Trevor Lock, in servizio con il Gruppo di Protezione Diplomatico, ed imprigionato assieme agli altri venticinque ostaggi, aveva attivato un allarme silenzioso. La richiesta di aiuto, fece ben presto accorrere sul luogo del sequestro la squadra antiterrorismo C13 della Polizia Metropolitana, i tiratori scelti del D11, la sezione C7 di Scotland Yard (specializzata nello spionaggio elettronico) ed una nutrita schiera di negoziatori, i quali stabilirono immediatamente un contatto con i terroristi all’ interno dell’ ambasciata. Nel frattempo la notizia giunse per vie informali ad Hereford, sede del 22nd Regiment Special Air Service. Alle 11:47 infatti, Dusty Grey, un membro della Metropolitan Police ed ex operatore del “D” Squadron, si mise in contatto con l’ ufficiale in comando delle operazioni di controterrorismo di Hereford. Nonostante l’ autorizzazione per un azione diretta dovesse necessariamente provenire dall’ Home Secretary (Segretario agli Interni), gli ufficiali dello S.A.S. decisero di giocare d’ anticipo.

I venticinque operatori del Red Team del Team “Pagoda” (oggi C.R.W., Counter Revolutionary Warfare Wing) del “B” Squadron, vennero richiamati da una seduta di addestramento in corso proprio in quel momento ed inviati a Londra, per pianificare un eventuale operazione di salvataggio degli ostaggi. Con loro anche l’ allora Comandante del Reggimento, il Tenente Colonnello Michael Rose. Poco dopo essere giunti sul luogo della crisi, ed essersi stabiliti in alcuni tendoni allestiti presso Regents Park, due uomini del Reggimento in abiti civili furono inviati nei pressi dell’ ambasciata per un sopralluogo. Nelle parole di un operatore dello S.A.S., riviviamo i primi minuti dell’ arrivo del Reggimento a Regents Park. “Quando arrivammo all’ inizio dell’ assedio, ci fu detto di prepararci ad assaltare l’ edificio entro i successivi quindici minuti. Questo voleva dire entrare facendo uso di armi da fuoco, granate stordenti e gas CS, nel tentativo di raggiungere tutti gli ostaggi prima che venissero uccisi. Il problema era che, al momento, non avevamo alcuna idea di chi fossero gli ostaggi. Ho guardato la pianta dell’ ambasciata ed ho pensato al dover bonificare le sue cinquanta stanze, dovendo nel frattempo identificare i terroristi fra gli ostaggi. Fortunatamente – continua il militare – grazie al lavoro dei negoziatori, ci vennero dati alcuni giorni per preparare un piano organico e familiarizzarci con ogni parte dell’ edificio”. E’ importante notare come, sul luogo della crisi, fosse presente in veste di consulente anche Ulrich K. Wegener, Comandante del G.S.G.9 tedesco, il quale aveva avuto modo di operare a fianco di due membri dello S.A.S. tre anni prima, nel corso dell’ operazione “MAGIC FIRE”.

Nelle ore successive, iI Red Team venne più volte allertato per un azione immediata, ogni qual volta i terroristi minacciavano di uccidere gli ostaggi. Fortunatamente le minacce si rivelarono essere dei falsi allarmi, e lo S.A.S. poté continuare nello sviluppo del piano d’ assalto. L’ idea iniziale di irrompere dalle finestre del pian terreno e del primo piano, utilizzando delle mazze da fabbro, venne ben presto scartata, quando un inserviente fuori servizio dell’ ambasciata informò il team della presenza di vetri blindati montati su di esse. Si decise allora di far saltare i vetri utilizzando delle speciali cariche “a cornice”, alle quali iniziarono immediatamente a lavorare gli artificeri del Reggimento, mentre alcuni membri dei Royal Engineers costruivano un modellino dell’ ambasciata sul quale compiere il briefing per il piano d’ assalto. Quella stessa sera, un’ impiegata iraniana colpita da malore, venne rilasciata dai terroristi. Il giorno seguente (primo maggio), un cameraman della BBC colpito da intossicazione alimentare, venne lasciato libero. I due civili, presto interrogati dagli uomini dello S.A.S., fornirono interessanti informazioni in merito alla situazione all’ interno dell’ edificio. Data l’ ampiezza dell’ ambasciata (cinquanta stanze dislocate su cinque piani) gli specialisti di elettronica del C7, provvederono ad applicare microfoni e micro-camere sui muri adiacenti la costruzione e lungo i camini.

Il Team “Pagoda” era ora in grado di seguire in tempo reale lo svolgersi degli eventi all’ interno dell’ edificio. I terroristi si erano divisi su tre piani, mentre gli ostaggi erano tenuti prigionieri in due stanze su di uno stesso piano. La stanza designata quale numero nove, era utilizzata come cella per le quattro donne dello staff, la stanza dieci conteneva invece i quindici ostaggi maschi. Al fine di evitare l’ uccisione o anche il solo ferimento dei civili, sarebbe stato basilare conoscere la dislocazione di questi rispetto ai terroristi. Foto dei prigionieri furono distribuite ai membri della squadra, onde consentire la loro immediata identificazione e permettere alle squadre di abbattere rapidamente i terroristi. Più tardi, nel corso della notte, tre pulmini si fermarono in una stretta strada adiacente Princess Gate. Ne scesero gli operatori del Red Team che, in abiti civili e muniti di sacche contenenti il proprio equipaggiamento, entrarono nel civico 14, a sole due porte di distanza dal numero 16. Il piano era semplice: qualora i terroristi avessero dato inizio alle esecuzioni degli ostaggi, i militi sarebbero scesi in strada ed avrebbero fatto irruzione dalla porta principale.


Verso le 6:00 del mattino di sabato 2 maggio, Oan telefonò alla cellula di negoziazione della polizia (rilocata al civico 25 di Princes Gate, insieme all’ Alpha Control, il punto di controllo avanzato sul terreno), lamentandosi in merito al fatto che i media non avessero conferito la risonanza appropriata alla crisi in atto. Al fine di far credere ai terroristi di avere la piena disponibilità da parte delle autorità, la BBC venne autorizzata alla lettura di un comunicato del commando . A causa di un errore di lettura, le richieste vennero però mal interpretate, provocando l’ ira di Oan, il quale annunciò che gli ostaggi britannici sarebbero stati gli ultimi ad essere rilasciati.


Si decise allora di far leggere nuovamente il comunicato in televisione (alle ore 21:00), questa volta correttamente. Quale atto di buona volontà da parte dei terroristi, due ostaggi (tra cui una donna in stato interessante) furono immediatamente rilasciati. Uno degli ostaggi, Chris Cramer, fu in grado di fornire allo S.A.S. importanti informazioni riguardo alla situazione all’ interno dell’ edificio. Alle 23:00 circa, otto operatori fecero la loro comparsa sul tetto del civico 14 di Princes Gate, raggiungendo un lucernario in vetro, il quale si apriva direttamente su di uno dei bagni all’ ultimo piano dell’ ambasciata, fornendo un ottimo punto d’ entrata per le squadre di assaltatori che avrebbero effettuato l’ attacco. Altri militari, si occuparono nel mentre di assicurare le corde da discesa ai camini posti sul tetto.


L’ attacco iniziale sarebbe stato eseguito da 12 assaltatori. Le squadre “One” e “Two” , rispettivamente del Red Team, assegnate al retro dell’ obiettivo e divise in quattro coppie, presero immediatamente posizione sul tetto, verificando nuovamente le funi che sarebbero servite per la discesa sul balcone del secondo piano ed al pian terreno. Il team “Three”, composto da due coppie e posizionatosi su di un balcone del civico 15 (attiguo all’ ambasciata), iniziò la propria discesa per raggiungere la balconata frontale dell’ obiettivo (al primo piano) ed applicare le cariche esplosive alle finestre, scelte quali punto inizio attacco. Il Blue Team avrebbe invece bonificato, i sotterranei, il pian terreno ed i primi piani. Ad offire copertura, vi sarebbero stati tanto tiratori scelti della polizia appostati sugli edifici circostanti, quanto operatori dello S.A.S. in posizione sul marciapede attiguo all’ ambasciata. Alle 19:23 il Red Team iniziò la discesa verso il proprio obiettivo, ma nel corso dell’ azione, una delle funi utilzzate rimase bloccata, imprigionando l’ assaltatore a pochi metri dalla balconata sulla quale avrebbe avuto inizio l’ attacco, e costringendo i suoi compagni a non utilizzare gli esplosivi per timore di ferirlo (sembra che il problema fosse dovuto alla scarsa qualità di alcune delle funi da discesa, acquistate all’ ultimo momento in un negozio di articoli per alpinismo della zona).

Alle 19:26, il team “Three” attiva le cariche sagomate (di misura 1.2×0.6m) sulle finestre del lato frontale dell’ edificio, non prima di urlare ad uno degli ostaggi, improvvisamente comparso ad una delle finestre (Sim Harris della BBC), di rientrare ed allontanarsi dal balcone. L’ esplosione è il segnale di “Go” per le due squadre sul retro. L’ onda d’ urto sradica le finestre dagli infissi. In un turbinio di vetri e frammenti dovuto alla detonazione delle cariche, i team fanno la loro entrata preceduti dai candelotti di gas lacrimogeno e dalle flashbangs che esplodono in gran quantità. L’ erogazione di energia elettrica viene interrotta in perfetta sincronia con l’ inizio dell’ azione, mentre una quarta squadra di assaltatori, con l’ausilio di una potente carica esplosiva, irrompe al primo piano attraverso il muro della confinante Ambasciata Etiope.



“Lanciammo delle granate stordenti attraverso le finestre ed entrammo un decimo di secondo dopo la loro detonazione- continua il militare -Ci fu un rumore assordante ed un lampo accecante mentre le flashbang esplodevano. Ideate per disorientare chiunque si fosse trovato nella stanza, erano una vera benedizione. Ma la stanza era vuota. Mi guardai intorno. Le flash avevano appicato il fuoco alle tende, ma non c’ era tempo per fermarci e spegnere l’ incendio, dovevamo continuare a muoverci.” Gli uomini del Read Team credevano che gli ostaggi sarebbero stati trovati proprio in quella prima stanza. Non trovandovi alcuno, si mossero verso la stanza dove si trovava il poliziotto Trevor Lock. Nel frattempo, l’ assaltatore rimasto imprigionato dalla fune all’ esterno dell’ ambasciata, lambito dalle fiamme sprigionatesi dal contatto tra le flashbangs ed il tendame delle finestre, riescì a liberarsi grazie all’ arrivo di una seconda ondata di assaltatori, e a riunirsi ai propri compagni.

Uno degli operatori sulle balconate, lanciò una flashbang attraverso una finestra. Il terrorista all’ interno fuggì nel corridoio verso la stanza delle telescriventi, incalzato dal militare, il quale (constatato l’ inceppamento della propria pistola mitragliatrice Heckler&Koch) aveva nel frattempo estratto una Browning High Power. Quando fu ormai chiaro che un assalto da parte dei nuclei speciali era in pieno svolgimento, i tre terroristi nella stanza delle telescriventi aprirono il fuoco sugli ostaggi inermi, uccidendone uno e ferendone altri due. Solo l’ irruzione nella stanza dove questi erano tenuti prigionieri potè evitare un ben più drammatico bilancio. “Udimmo le urla degli ostaggi provenire dalla stanza delle telescriventi. ‘Merda, stanno uccidendo gli ostaggi’, sentì urlare dal mio compagno.” Accortisi dell’ arrivo degli assaltatori, i terroristi non perdettero tempo nel nascondersi fra gli ostaggi per evitare di essere colpiti. “Facemmo irruzione nella stanza: caos totale. C’ era un terrorista sulla sinistra con una granata stretta in pugno. Uno dei ragazzi gli sparò un colpo ben assestato alla testa con la Browning, che lo uccise immediatamente facendogli schizzare via il cervello. Ordinammo a tutti di stendersi a terra. Capimmo che i terroristi si erano mescolati agli ostaggi, che stavano letteralmente uscendo fuori di testa. Le donne urlavano mentre li tiravamo fuori dalla stanza. Uno dei terroristi venne identificato e fatto sdraiare a terra lontano dagli ostaggi. Quando fece un movimento sospetto venne abbattuto, non potevamo rischiare. Rigirammo il suo corpo, scoprimmo che teneva stretta in mano una granata. Un altro terrorista fu eliminato mentre cercava di fuggire con gli ostaggi dalle scale.”





