Londra – Roma, 29 Luglio 2005
Quando gli operatori del N.O.C.S. fanno irruzione all’ interno dell’ abitazione, Isaac si trova seduto su di un divano e non oppone resistenza.

Nel corso di una serie di raid effettuati nella giornata di venerdi’ 29 luglio 2005 tra Londra e Roma, gli organi di sicurezza britannici ed italiani hanno posto in arresto quattro elementi sospettati di aver preso parte ai falliti attentati di Londra del 21 luglio precedente. Nella capitale britannica, l’ operazione ha avuto inizio con l’ isolamento da parte della Metropolitan Police (M.P.) dell’ area di Notting Hill, nella zona occidentale della citta’. Immediatamente un numero consistente di operatori delle Specialist Operations 19 (S.O.19, unita’ controterrorismo della M.P.) e’ intervenuto presso i complessi residenziali di Dalgarno Gardens e di Tavistock Crescent, entrambi ubicati ai limiti di Notting Hill. Il sospetto arrestato a Dalgarno Gardens risponde al nome di Muktar Said Ibrahim (27 anni), e sarebbe responsabile del posizionamento dell’ esplosivo sul bus 26 presso Hackney, nell’ est di Londra. Anche noto come Muktar Mohammed Said, Ibrahim si e’ trasferito dall’ Eritrea (sua nazione d’ origine) a Londra nel 1990, ove ha ottenuto asilo politico nel 1992, per divenire infine cittadino britannico nel settembre 2004. Nello stesso complesso di appartamenti e’ stato arrestato anche Ramzi Mohammed (apparentemente di origine somala), accusato di aver trasportato materiale esplodente fin sotto la stazione di Oval (nei filmati ripresi dalle telecamere a circuito chiuso della stazione, lo si nota mentre corre con indosso una felpa con su scritto “New York”).



Tavistock Crescent e’ stata invece la scena della cattura di Wahbi Mohammed, fratello di Ramzi Mohammed ed arrestato in relazione al fallito attentato alla stazione della Metro di Oval. L’ operazione condotta nel distretto di Notting Hill e’ durata circa quattro ore e non e’ stata priva di momenti drammatici, come quando una coppia di agenti delle S.O.19 in assetto controterrorismo ha ripetutamente intimato la resa a Muktar Said Ibrahim, barricato nel proprio appartamento di Dalgarno Gardens. In un filmato amatoriale, si possono notare i due operatori con le armi puntate contro la porta dell’ abitazione, urlare ad Ibrahim :”Se non apri immediatamente questa porta finirai ucciso!” E ancora :”Qual’ e’ il problema? Perche’ non esci fuori? Spogliati ed esci di casa!” Dopo aver assicurato il sospetto che non sarebbe stato ucciso, gli operatori lo hanno convinto ad uscire con indosso solamente un paio di slip. Coperti dagli elicotteri in cielo, e mentre le forze dell’ ordine urlavano agli inquilini del complesso di non uscire dalle proprie abitazioni, gli agenti delle S.O.19 provvedevano ad arrestare tutti i sospetti oggetto dei provvedimenti di custodia.


“Ho udito sei forti esplosioni, che ho successivamente scoperto essere granate stordenti e poi ho sentito due colpi”, racconta uno dei testimoni dell’ operazione. Fonti della M.P. hanno successivamente dichiarato come le esplosioni fossero in realta’ le cariche utilizzate per scardinare le porte di un’ abitazione del complesso residenziale e come nessun colpo sia stato sparato. Al termine degli interventi, uno dei sospetti e’ stato trasportato via con indosso una tuta bianca sterile (probabilmente onde conservare tracce di sostanze esplosive con le quali il soggetto potesse essere entrato in contatto). Tutti gli arrestati sono successivamente stati sottoposti ad una serie serrata di interrogatori da parte degli esperti antiterrorismo di Scotland Yard, onde stabilire la presenza di ulteriori complici e se vi sia stato un contatto con il gruppo di attentatori suicidi responsabili delle stragi del 7 luglio precedente. “L’indagine continua, è dinamica e a tutto campo – spiega Peter Clarke, Deputy Assistant Commissioner della Metropolitan Police Service Anti-Terrorist Branch – e ci saranno ancora attività molto visibili da parte della polizia”. I componenti della cellula terroristica non erano clandestini e si trovavano regolarmente in Gran Bretagna.



In connessione con i falliti attentati del 21 luglio, il 23 dello stesso mese le forze dell’ ordine britanniche hanno effettuato un raid all’ interno di un’ abitazione di Heybarnes Road, nell’ area di Small Heath, a Birmingham. Gli agenti hanno arrestato Yasin Hassan Omar, ventiquatrenne rifugiato somalo. Il terrorista era in compagnia di altri tre uomini ed e’ responsabile del fallito attentato alla stazione di Warren Street. Per il suo arresto, gli agenti avrebbero impiegato una pistola Taser, mossa alquanto maldestra, dato che l’ impulso elettrico prodotto dal dispositivo non letale avrebbe potuto innescare eventuali esplosivi nascosti sul corpo dell’ uomo.

Nelle stesse ore, a centinaia di chilometri di distanza, le forze dell’ ordine italiane facevano scattare le manette ai polsi di Hamdi Adus Isaac (alias Osman Hussain), ventisettenne di origine etiope e responsabile del fallito attentato alla stazione della metropolitana di Shepherd’s Bush. Nelle immagini riprese da una telecamera a circuito chiuso situata presso la stazione di Westbourne Park (non distante da Sheperd’s Bush) Isaac compare con indosso la maglia di una squadra di calcio inglese ed un cappellino da baseball e con su le spalle uno zainetto scuro. Ulteriori immagini (provenienti dal sistema di sorveglianza del bus 220) lo ritraggono invece con indosso una canottiera bianca. Nel lasso di tempo intercorrente tra la realizzazione dei due filmati, il terrorista e’ stato in grado di procurarsi (sembra attraverso un amico od un familiare) un biglietto per il treno Eurostar che, il 26 di luglio, lo avrebbe portato dalla stazione di Waterloo fino in Francia, attraverso lo stretto d’ Inghilterra. Ma gli occhi dell’ M.I.5 erano oramai puntati sul terrorista e, dopo aver interrogato membri della sua famiglia residenti a Stockwell (un sobborgo a sud di Londra), gli investigatori sono stati in grado di entrare in possesso dei dati relativi ad un telefono cellulare in uso da Isaac. Accertamenti effettuati sull’ apparecchio, hanno rivelato come quello stesso numero fosse stato chiamato proprio il 21 luglio da qualcheduno residente a Roma e come la telefonata fosse stata ricevuta proprio all’ interno della microcella corrispondente al luogo di uno dei falliti attentati. Viene quindi dato il via ad un’ operazione di intercettazione da parte del Government Communications Headquartes (G.C.H.Q.) britannico, volta a monitorare tutte le chiamate effettuata in entrata ed in uscita di un recapito telefonico in zona Casilino (Roma). La prima intercettazione ha avuto luogo poco dopo l’ arrivo di Isaac a Parigi, quando il terrorista risulta aver effettuato una chiamata nei pressi della stazione centrale, mettendo quindi l’ M.I.5 a conoscenza della fuga del terrorista. Sarebbe a questo punto che due ufficiali del Secret Intelligence Service (S.I.S., meglio noto come M.I.6) distaccati presso l’ ambasciata britannica di Roma, hanno allertato le contropari italiane, onde allestire un’ operazione di sorveglianza.


Nel frattempo Isaac si stava dirigendo verso Roma, transitando attraverso le citta’ di Milano e Bologna e mantenendosi in contatto con il fratello nella capitale, tramite internet ed il proprio cellulare (il 28, il segnale ricompare infatti a Milano e, in serata, a Bologna). Contemporaneamente la Digos tiene sotto osservazione il fratello di Hamdi, Remzi Isaac, titolare di un phone center ed internet point, «Amici», sito in via Volturno (localita’ Roma Termini), il cui numero telefonico era comparso in altre indagini effettuate da Scotland Yard all’ indomani del 21 luglio. Una quarta intercettazione viene effettuata all’ arrivo del terrorista a Roma, nella serata di giovedi’ 28 luglio. E’ attraverso quest’ ultima che Scotland Yard sara’ definitivamente in grado di confermare che il fuggitivo e’ effettivamente uno dei ricercati per gli attentati del 21 luglio precedente. Il G.C.H.Q. intercetta successivamente un’ e-mail inviata da Isaac dall’ internet pointdi proprieta’ del fratello, allertando la squadra incaricata di sorvegliare il sospetto (probabilmente costituita dagli agenti del N.O.C.S. della Polizia di Stato). Il terrorista viene notato uscire dall’ esercizio e viene seguito fino all’ appartamento del fratello sito nel quartiere Casilino, in via Ettore Rota 39. Nella mattina del 29 luglio il telefonino si riaccende nella microcella corrispondente all’ abitazione dove abita Isaac Remzi, effettuando chiamate verso un’ utenza mobile saudita e verso altri tre numeri italiani. Si decide per il blitz. Quando gli operatori del N.O.C.S. fanno irruzione all’ interno dell’ abitazione (il raid sarebbe stato effettuato da circa una quarantina di uomini), Isaac si trova seduto su di un divano e non oppone resistenza. Subito dopo l’ arresto, gli agenti della Digos hanno perquisito l’appartamento (un’ abitazione di 90 metri quadri con tre camere, bagno e cucina, sita al primo piano), senza trovarvi tracce di esplosivo, ma rinvenendo e sequestrando tre computer e diversi supporti magnetici. Secondo quanto riportato dal Daily Telegraph britannico, nel corso della notte le forze dell’ ordine avrebbero effettuato ulteriori raid nella zona metropolitana di Roma, in connessione con le indagini antiterrorismo.

Immediatamente dopo il suo trasferimento presso il carcere romano di Regina Coeli, Hamdi Adus Isaac (che sara’ successivamente estradato in Gran Bretagna) inizia a colaborare con le autorita’ italiane, ricostruendo i propri spostamenti e fornendo i nomi dei complici. La cellula sarebbe stata composta da Hussain e dai tre terroristi arrestati nella stessa giornata Londra. A capo della stessa vi sarebbe stato l’ eritreo Muktar Said Ibrahim (catturato a Dalgarno Gardens). “Le istruzioni per l’ attentato me le ha consegnate Muktar in una palestra -spiega Isaac- ed ero stato avvertito di stare attento nel trasportare l’ ordigno, perché poteva uscire l’ acido e sarebbe stato pericoloso.” E cosi’ infatti e’ stato. Parte del liquido corrosivo si e’ riversato su una gamba di Hussain, il quale ha mostrato l’ ustione agli inquirenti, confermando le dichiarazioni di alcuni testimoni britannici, i quali avevano parlato di un attentatore che era rimasto lievemente ferito. Il fratello di Hamdi Adus Isaac, Remzi (anch’ egli arrestato e munito di regolare permesso di soggiorno), collabora nella ricostruzione degli eventi, pur affermando di essere totalmente estraneo ai fatti. Hamdi Adus Isaac si sarebbe infatti presentato al suo call center nella serata di giovedi’, ed i due si sarebbero recati il mattino seguente a pregare nella moschea di via dei Frassini, nel quartiere Cinecitta’. Gli interrogatori dei due sospetti hanno consentito agli inquirenti italiani di allargare lo spettro d’ indagine, effettuando perquisizioni in diverse province, allo scopo di verificare la presenza di eventuali complici o fiancheggiatori di Hussain sul territorio nazionale.

Le perquisizioni hanno riguardato soprattutto ambienti dell’ Italia settentrionale ed in particolare il Bresciano, dove vive il padre della compagna di Isaac e dove e’ stato arrestato Fetih (30 anni), fratello del sospetto. Fetih Isaac vive in un comune non distante da Brescia con la sua compagna, una bosniaca giunta in Italia nell’ ambito di un programma di cooperazione internazionale. Quando già la Procura di Brescia si era attivata per supportare le indagini sugli attentati londinesi, Fetih avrebbe effettuato spostamenti ritenuti meritevoli di approfondimento da parte degli investigatori. La Digos di Brescia, era infatti intenzionata a verificare che il sospetto potesse aver occultato o distrutto documentazione ritenuta interessante per le indagini. Oltre a Fetih, Hamdi Adus Issac risulta avere almeno altri quattro fratelli, i quali hanno tutti vissuto in Italia per un certo periodo. Nel 1989, i fratelli maggiori Remzi e Fethi emigrano dall’ Etiopia stabilendosi a Colleferro (Lazio), dove vengono raggiunti qualche mese dopo dai minori Abdulhai, Wahib e Hamdi. Questi ultimi due, affidati al Servizio Sociale Internazionale, studiano prima a Colleferro e poi presso un istituto professionale di Pomezia. Convivono fino al 1996, anno in cui Abdulhai si trasferisce in Canada, mentre Wahib e Hamdi migrano in Ingilterra: i Governi canadese ed inglese, oltre a riconoscergli lo status di rifugiati politici perché hanno fornito false generalità somale, garantiscono loro anche un sussidio economico. Nel 2000 Fetih si trasferisce a Brescia, dove convive con una donna bosniaca.


Le indagini rivelano anche che qualche settimana prima dei falliti attentati del 21 luglio, venne avvistato a Roma lo stesso Muktar Said Ibrahim, considerato il leader della cellula. La presenza del terrorista nella capitale sarebbe stata rivelata al Guardian dalla testimonianza di due donne, madre e la figlia, anch’ esse residenti nello stesso condominio nel quale Hamdi Adus Isaac e suo fratello Remzi sono stati arrestati. La notizia e’ stata successivamente smentita dal Prefetto Carlo De Stefano, capo dell’ U.C.I.G.O.S. (Ufficio Centrale per Investigazioni Generali e Operazioni Speciali). Per quanto riguarda Remzi Isaac, all’ indomani dell’ 11 settembre 2001, è stato monitorato dalle forze dell’ordine italiane in ragione del fatto che la società con la quale egli gestiva l’ attività commerciale di via Volturno, è stata segnalata dai servizi segreti statunitensi all’ interno dell’ elenco delle società affiliate ad Al Barakaat, il circuito di finanziamento di Al Qaeda. Gli inquirenti hanno inoltre sequestrato diversi biglietti aerei rinvenuti all’ interno dell’ abitazione di Remzi Isaac, a testimonianza dei frequenti spostamenti effettuati dal sospetto. Il Tribunale del Riesame di Roma ha successivamente concesso gli arresti domiciliari per Remzi. I giudici hanno infatti ritenuto non sussistente l’ aggravante (introdotta dal decreto Pisanu), delle finalità di terrorismo. L’ uomo resta comunque indagato.

Il Ministro degli Interni Giuseppe Pisanu ha spiegato con soddisfazione che la cattura di Hamdi Adus Isaac “è arrivata al culmine di una articolatissima indagine coordinata dalla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione e a cui hanno partecipato attivamente le Digos delle questura di Milano, Brescia e Roma e con la stretta collaborazione della polizia metropolitana di Londra.” Sulla base di queste attività “è stato possibile documentare in tempo reale le tappe della fuga di Issac dall’ Inghilterra, dal 26 luglio quando ha lasciato Londra partendo dalla stazione di Waterloo.” Il fallito attentato del 21 luglio a Londra, ha sottolineato il Ministro, “senza un difetto degli esplosivi, avrebbe provocato una strage uguale a quella del 7 luglio.” Entusiasta anche il Prefetto De Stefano: “L’operazione è frutto di una importante collaborazione con le forze di polizia straniere e con i servizi di informazione. Il lavoro prosegue, ma i risultati già si vedono (…) In Italia esiste un reale pericolo di attentati”, ha dichiarato De Stefano. “Per l’arresto – ha aggiunto – è stato utilizzato il pacchetto di sicurezza del Ministro Pisanu”. Nelle indagini che hanno portato all’ arresto del terrorista, le forze dell’ ordine hanno infatti utilizzato alcune norme contenute nel pacchetto antiterrorismo voluto dal Ministro degli Interni. Il Prefetto ha spiegato che è stato fatto ricorso, in particolare, al colloquio investigativo in carcere. Quindi ha parlato delle coperture di Hamdi Adus Isaac in Italia: “La rete di supporto della quale ha goduto Hamdi Issac non appare legata ad altre indagini sul terrorismo condotte nel nostro Paese. Si ritiene probabile l’appartenenza ad un gruppo estemporaneo più che ad un’ organizzazione strutturata che faccia attivita’ terroristica di ampio respiro.” Ricostruendo i dettagli dell’ operazione “AETHRA”, De Stefano ha spiegato che “le evidenze investigative raccolte finora non suffragano l’ ipotesi che vi siano legami con altre indagini condotte in Italia sul fronte del terrorismo di matrice integralista islamica, né con organizzazioni terroristiche attive in territorio nazionale.”

Sul fronte delle indagini britanniche, la Metropolitan Police di Londra ha notificato agli investigatori italiani che dal cellulare di Hamdi Issac è partita una telefonata diretta in Arabia Saudita. “La telefonata – ha spiegato De Stefano – risale al 26 o 27 luglio, durante la fuga di Hamdi, ma sul contenuto non posso dire nulla.” Nonostante quanto affermato dal Prefetto, sembra che la telefonata fosse diretta ai genitori del terrorista. Per quanto concerne un eventuale collegamento tra gli attacchi del 7 luglio e quelli del 21, non e’ ad oggi chiaro se le due cellule operative fossero a conoscenza l’ una dell’ altra. Sembra che i componenti chimici impiegati in entrambe le occasioni siano simili, anche se gli ordigni del 21 luglio (diversamente da quelli del 7, comandati dagli allarmi di telefoni cellulari, tre dei quali settati per esplodere alle 08:50) erano dotati di detonatori attivabili solo manualmente. Gli organi di sicurezza britannici stanno nel contempo passando al vaglio l’ ipotesi che entrambe le cellule fossero in contatto con un “controllore” in Arabia Saudita. Precedentemente agli attentati londinesi, il G.C.H.Q. britannico risulta infatti aver intercettato due chiamate dall’ Arabia Saudita alla Gran Bretagna e giudicate degne di interesse dagli investigatori, la cui attenzione e’ stata successivamente attirata da una serie di messaggi di testo codificati inviati verso l’ Inghilterra dagli stessi apparecchi telefonici. Gli organi di sicurezza sauditi e britannici sono stati in grado di risalire dai telefoni a due comandanti di al Qaeda, operativi in Arabia Saudita. Si tratta dei marocchini Younis Mohammed Ibrahim al-Hayari (abbattuto dalle forze saudite nel corso di un conflitto a fuoco avvenuto il 3 luglio 2005, presso la citta’ di Qassim) ed Abdel Karim al-Mejati (esperto logistico di Al Qaeda, eliminato nell’ aprile precedente). Secondo gli organi di sicurezza sauditi, entrambi avrebbero ricoperto un ruolo rilevante in relazione agli attentati di Londra, attraverso trasferimenti di fondi effettuati verso la Gran Bretagna.

Dopo gli attacchi su suolo britannico, un ufficiale dei servizi segreti sauditi ha rilasciato la seguente dichiarazione al quotidiano inglese Observer: “Ci e’ parso immediatamente chiaro che un gruppo terroristico si preparava a colpire in Inghilterra. Abbiamo passato l’ informazione contemporaneamente all’ MI6 ed all’ MI5. Stiamo ora investigando se le chiamate intercettate siano state effettuate direttamente verso le utenze telefoniche degli attentatori coinvolti negli attentati di Londra. Riteniamo che, o queste telefonate sono collegate agli attacchi, oppure vi e’ una rete terroristica completamente differente ancora a piede libero in Gran Bretagna.” Scotland Yard ritiene che il “controllore” delle due cellule possa essere ancora operativo e determinato nell’ organizzare ulteriori attacchi su suolo britannico. La chiave di volta necessaria a comprendere chi abbia manifatturato gli esplosivi impiegati a Londra, potrebbe comunque trovarsi all’ interno dell’ abitazione di al-Hayari, sospettato di aver confezionato gli ordigni impiegati a Madrid l’ 11 marzo 2004. Esperti forensici sauditi, hanno infatti rinvenuto nell’ appartamento enormi quantita’ di sostanze chimiche e materiali impiegati per il confezionamento di esplosivi. Dopo aver scartato l’ ipotesi che le bombe del 7 e del 21 luglio contenessero Semtex (una sostanza altamente esplosiva), gli investigatori si sono concentrati sulla possibilita’ che queste fossero invece composte da HMTD (Hexametylene Triperoxide Diamina), sostanza altamente volatile e facilmente ottenibile da prodotti comunemente in vendita. I terroristi del 7 luglio, avrebbero inoltre acquistato un refrigeratore industriale ove conservare gli ordigni precedentemente alla loro “distribuzione” presso Luton.